Gordon Parks
{Quando le immagini diventano un’arma potente}

di Federico “Mac” Macchi
{Reportage, documentaristica}

Gordon Parks è stato un fotografo, musicista, scrittore e regista americano, diventato prominente nel fotogiornalismo documentario negli anni Quaranta e Settanta, in particolare in questioni di diritti civili e unico afroamericano nello staff del leggendario Life magazine.

È ricordato soprattutto per le sue foto iconiche sulla povertà degli afroamericani durante gli anni ’40 (scattate per un progetto del governo federale) e come regista del film poliziesco del 1971 “Shaft” , tratto da un romanzo dello scrittore bianco Ernest Tidyman con protagonista John Shaft, un affascinante investigatore di colore dai modi rudi.

Quando scoprì la fotografia e il proprio grande talento, divorò manuali tecnici e riviste illustrate. Si appassionò così al fotogiornalismo e alla fotografia documentaristica, decidendo che la fotografia poteva servire a vari scopi: poteva essere un modo per uscire dalla povertà e poteva essere uno strumento con il quale combattere l’ingiustizia razziale.

La consapevolezza che la vita dei neri contasse poco per la comunità bianca influenzò Parks durante i 20 anni che trascorse nello staff di Life, produsse infatti quasi una dozzina di grandi reportage fotografici che portarono la realtà del razzismo americano nelle case dei milioni di lettori della rivista, principalmente bianchi e appartenenti al ceto medio, documentando le lotte contro la brutalità della polizia, scoppiate nei quartieri neri di tutta la nazione, tra la metà degli anni ’60, raggiungendo il loro picco nell’estate del 1967.

“Le persone che vogliono usare una macchina fotografica devono avere qualcosa in mente, deve esserci qualcosa che vogliono mostrare, qualcosa che vogliono dire”

Gordon Parks è stato un narratore unico della storia americana, in grado di svelare con i suoi scatti, la capacità di comprendere e scavare dentro trame fitte e nascoste di una società razzista. Rivelando le ingiustizie e i soprusi, portò alla luce la “storia” di chi non aveva voce per gridare la propria “storia”, senza però rinunciare a cogliere anche la bellezza di quanto lo circondava e diventando tra i fotografi più importanti del ventesimo secolo.