8 dicembre 1980
{Lo sai che cosa hai fatto? Sì, ho appena sparato a John Lennon…}

di Micaela Antozzi {Art Director}

Fu questa la risposta che l’assassino, Mark David Chapman, diede con lucida freddezza al custode del Dakota Building,  dopo aver sparato a John Lennon davanti al portone del lussuoso palazzo in cui risiedeva, sulla 72ª strada nell’Upper West Side di Manhattan a New York. Era l’8 dicembre 1980. Cioè 40 anni oggi.

Un fan squilibrato, con una calibro 38 in tasca, nell’ingresso del palazzo. Lennon era appena tornato da una sessione di registrazione al Record Plant Studio insieme alla moglie Yōko Ono.

La sera dell’8 dicembre, Chapman era già lì, gli strinse la mano e si fece firmare un autografo proprio sulla copertina di ‘Double Fantasy’. La scena fu anche immortalata dal fotografo Paul Goresh. Poi Chapman attese Lennon sotto al palazzo per altre quattro ore. E alle 22.52, vedendolo rientrare insieme a Yōko Ono, gli sparò cinque colpi di pistola: quattro lo colpirono alla schiena e uno lo trapassò all’altezza dell’aorta. La situazione fu talmente grave che gli agenti che arrivarono sul luogo del delitto, lo caricarono direttamente sull’auto della polizia senza aspettare l’ambulanza. Portato al vicino Roosevelt Hospital , fu dichiarato morto alle 23.07.

{Chapman e Lennon fotografati da Paul Goresh}

Quella tragica e buia notte portò via l’icona e la mente dei Beatles ma, a distanza di tanti anni, il ricordo di John Lennon vive nelle canzoni e negli atteggiamenti di altri artisti, tra sincera commozione e (sic!) speculazioni. Un mito che resta più vivo che mai, anche se il sogno dell’intera generazione di allora, sembra essersi ormai dissolto.

Molti hanno cantato le sue canzoni, alcuni lo menzionano nei loro testi. Forse il più grande tributo a Lennon, negli ultimi anni è venuto da Bob Dylan nella traccia di chiusura dell’album Tempest del 2012 intitolata “Roll On John”. Un lamento funebre di sette minuti che racconta l’omicidio di Lennon l’8 dicembre 1980 e la prima vita come musicista in tournée, “Dai moli di Liverpool alle strade a luci rosse di Amburgo”, cita.

Tra le innumerevoli versioni cover dirette dell’assolo di Lennon e delle canzoni dei Beatles, spicca il tributo di Ozzy Osbourne del 2010: una versione di “How?” dall’album classico di Lennon “Imagine”. Nel video l’ex leader dei Black Sabbath passeggia per le strade di New York con un trench di pelle nera e depone una ghirlanda al memoriale di Lennon a Central Park.

Nonostante tutta la nostalgia, Lennon fu una figura divisiva e contraddittoria, alcuni scettici hanno messo in dubbio il suo status di icona della controcultura e la sincerità delle sue posizioni, sull’uguaglianza di genere e sul capitalismo.  L’ex frontman degli Animals Eric Burdon ricordandolo,  disse che Lennon inventò i testi surreali di “I Am The Walrus” dopo che insieme presero parte ad un’orgia a Londra. Altri tempi.
Lennon è sempre stato il provocatore della band di Liverpool, ricordiamoci che causò un terribile scandalo quando disse che i Beatles erano più popolari di Gesù. E dopo la sua morte, come Che Guevara, la faccia di Lennon guarda caso, finì su migliaia di magliette e souvenir, incise con il titolo della sua canzone “Working Class Hero”, eroe della classe operaia.
Un pò contaddittorio se si pensa che possedeva una Rolls Royce.

Ma del resto il mito di “Imagine” è ancora qui oggi, a quarant’anni dalla morte, uno dei brani più cantati dalla gente sui balconi di tutto il mondo durante il primo lockdown di questa maledetta pandemia.

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