Masculinities: Liberation through Photography

Mascolinità {Ce n’è più di una?}

di Pancras Ætius McMorris {Linux Evangelist – Londra}

Parlare di mascolinità al plurale è azzeccato per questa mostra al Barbican di Londra, in esposizione fino al 23 agosto 2020.
Masculinities: Liberation through Photography esplora i modi diversi in cui la mascolinità si vive, si inscena, si codifica e si costruisce nel cinema e nella fotografia dagli anni 1960 a oggi. Quello che consideriamo ‘mascolino’ cambia molto secondo i tempi, luoghi e la cultura. Lo stesso vale per gli stereotipi associati alla mascolinità e all’identità di chi si ritiene o meno mascolino o mascolina.

Masculinities si sofferma non tanto sulla mascolinità stessa ma su come viene rappresentata, ecco perché il plurale

Quella che segue non è una vera e propria recensione. Si tratta solo delle mie considerazioni e le domande che mi sono posto: non sono un artista, ma amo l’arte che mi fa pensare.

Il luogo, il tempo, contesto

Le mie impressioni sono state innanzitutto influenzate dal luogo in cui la mostra è stata allestita. Volendo parlare di stereotipi, da un estremo abbiamo l’architettura curviforme e femminile della scomparsa Zaha Hadid, all’altra estremità c’è il rigore del brutalismo del Barbican. Il semplice fatto di essere in questo luogo evoca gli stereotipi di forza, impermeabilità emotiva, assenza di fronzoli che tradizionalmente si associano alla mascolinità.

Poi, Covid-19. L’atmosfera è surreale. Segni che invitano al distanziamento ovunque. Ingresso solo su prenotazione per evitare troppe persone in una volta sola. Maschera obbligatoria. Ma l’arte non si ferma. Dopo tutto, Yazu! è frutto della stessa instancabile volontà. E, onestamente, vedere una mostra e godendo del maggior spazio attorno senza doversi accalcare tutti sulla stessa opera è una gran bella cosa.

Mi sono domandato se questa mostra sia un po’ anche il frutto di #MeToo e penso che in parte lo sia: la mascolinità, soprattutto dal punto di vista tossico e predatorio, è più che mai esaminata al microscopio dal 2017 ad oggi.

La mascolinità è imbarazzante?

Secondo gli stereotipi tradizionali della società occidentale, via via indietro fino alla Bibbia, ovviamente no! Gli uomini sono forti, fieri, combattenti. Sono loro che si prendono cura del sesso debole.

E allora Knut Åsdam ci dà un esempio in Untitled: Pissing documentando sequenze filmate di un “pacco” in primo piano… di un uomo che se la fà addosso. Un uomo che ha perso il controllo? Un senso di vergogna al pensiero della gente attorno che ride? Un inconfessabile piacere nel lasciarsi andare facendo cose che non si dovrebbero fare?

In un’altra interpretazione, Bas Jan Ader si autoritrae in I’m too sad to tell you  piangendo sconsolato senza mai rivelarci il perché, infrangendo uno dei tabù più forti della nostra cultura: un uomo che piange è debole, imbarazzante.

La mascolinità è uguale per tutti?

Da uomo e da informatico, non mi sono sempre reso conto che essere uomini garantisce automaticamente certi privilegi. Ho avuto la fortuna di aprire gli occhi nel corso degli anni e rendermi conto di tante cose che davo per scontate. Essere maschio ti fà appartenere a questa grande famiglia… o no?

Richard Mosse in Fraternity ci fa vedere un gruppo di studenti di un college prestigioso americano che urlano a squarciagola finché non ce la fanno più e solo uno rimane. Mi fa riflettere su un paio di punti:

  • Già il fatto, specialmente negli Stati Uniti, di poter frequentare un college prestigioso è sinonimo di privilegio, anche tra la casta maschile
  • Quando si parla di mascolinità, è inevitabile tirare in ballo la competitività. La mascolinità non è di certo uguale per tutti: i maschi alfa esistono.

Ben più sconcertanti sono le fotografie di Mikhael Subotzky in I was looking back: una serie che mostra in tutta crudezza, compresi cadaveri in obitorio, quanto la mascolinità bianca negli anni dell’apartheid in Sud Africa fosse barbarica, psicologicamente e fisicamente schiacciante.

In un’altra interpretazione, Bas Jan Ader si autoritrae in I’m too sad to tell you  piangendo sconsolato senza mai rivelarci il perché, infrangendo uno dei tabù più forti della nostra cultura: un uomo che piange è debole, imbarazzante.

La mascolinità è un oggetto?

Ho provato un sottile piacere nel soffermarmi sui lavori che rappresentavano l’oggettificazione del mascolinità. Non tanto per il gusto estetico di vedere uomini ben fotografati, ma quel senso di supporto, di alleanza, che deriva dal vedere l’uomo rappresentato dal punto di vista delle donne che non hanno paura di appropriarsi di questa facoltà.

Annette Messager con The Approaches mi ha piacevolmente colpito per il suo lato voyeuristico, avendo passato parecchio tempo con una macchina fotografica e un teleobiettivo, fotografando pacchi di uomini per la strada, attratta da loro perché non li rivedrà mai più.

Ana Mendieta mi ha divertito con Untitled: Facial Hair Transplants. appropriandosi fisicamente dei peli della barba di un suo studente, si è costruita una barba e si è fotografata indossandola: mascolini si nasce o si diventa?

LA MOSTRA È ORGANIZZATA PER TEMI:
(I dettagli, in inglese, li trovate qui)

  • Disrupting the Archetype – come la rigida suddivisione tra uomini e donne, maschile e femminile, ruoli e aspettative cambia
  • Male Order: Power, Patriarchy and Space – dalle organizzazioni tradizionalmente per soli uomini (il miltare, i gentlemen’s club) alle strutture gerarchice e organizzative dominate dagli uomini
  • Too Close to Home: Family and Fatherhood – la fotografia come mezzo per documentare il ruolo dell’uomo nella famiglia
  • Queer Masculinity – la fotografia che documenta l’evoluzione e la crescita dei movimenti di conquista di diritti degli omosessuali e l’orgoglio gay
  • Reclaiming the Black Body – dal retaggio della schiavitù ai pregiudizi, come la mascolinità della comunità nera si è trasformata dagli anni 60 a oggi
  • Women on Men: Reversing the Male Gaze – l’uomo trattato come oggetto come tradizionalmente hanno fatto gli uomini con le donne, le donne che interpretano la propria mascolinità con la fotografia, la società che vede gli uomini e le donne attraverso la fotografia

♫  RECOMMENDED LISTENING:

Non potendo fare meglio dei curatori della mostra, vi raccomando la loro playlist